Il burnout è molto più rispetto alla semplice sensazione che “qualcosa a lavoro non vada per il verso giusto”. Christina Maslach, una psicologa statunitense che dagli anni ‘70 ha fornito importanti contributi di ricerca su questo tema, ha evidenziato le 3 caratteristiche principali del burnout (Maslach, 2016):

  • Estrema stanchezza psicofisica;
  • Cinismo e distacco percepito nei confronti del proprio lavoro;
  • Senso di inefficacia, calo dei risultati e impoverimento degli obiettivi lavorativi.

Questo modello tripartito ci consente di collocare chiaramente l'esperienza di stress individuale all'interno di un contesto sociale, coinvolgendo la concezione che il lavoratore ha sia di sé sia degli altri (Maslach e Leiter, 2016). Maslach ha intervistato numerosi professionisti e operatori dell’ambito sanitario, e le affermazioni raccolte erano spesso di questo tenore: “Cerco di fare il minimo indispensabile a lavoro, piuttosto che fare del mio meglio”, “Mi accorgo che i miei pazienti non migliorano, ma sento che non mi importa”, “Arrivo a fine turno e mi sento stremato”. Riferisce la Maslach: “Nella mia esperienza di ricerca, più un lavoratore è empatico e si trova a operare a stretto contatto con pazienti emotivamente bisognosi, più è a rischio di sviluppare una condizione di burnout. La componente emotiva del rapporto coi pazienti, fondamentale per il processo di guarigione, viene meno”.

Stacey Prince è una psicologa di Seattle e attivista per i diritti civili che riconosce di essere a rischio burnout, come riportato in un’intervista rilasciata all’American Psychological Association (APA) nel 2018. Nella sua pratica clinica si rivolge a clienti che hanno subito dolorose esperienze di discriminazione su base razziale o sessuale e afferma: “In passato mi capitava di aver vissuto lo stesso trauma di un mio paziente, come la morte di un genitore, ma era un’esperienza isolata. Da quando la maggior parte del mio lavoro si svolge nell’ambito dei diritti delle persone marginalizzate, sento che le loro esperienze riverberano in me ora dopo ora, seduta dopo seduta, e devo fare molta più fatica per proteggermi dal loro dolore senza che questo significhi allontanarli troppo”.

La consapevolezza di sé e dei propri limiti mostrata da Stacey Prince in quest’intervista sembra purtroppo non coincidere col vissuto di molti professionisti dell’ambito sanitario che tendono ad attribuire le difficoltà incontrate durante il lavoro ai pazienti (“il paziente non migliora”), al caso, o a una giornata storta. “Abbiamo molte difese, proprio come i clienti che trattiamo” afferma Brad Johnson, psicologo militare e professore alla Johns Hopkins University. Una maniera utile per far fronte a questa “zona cieca” nell’autovalutazione da parte del personale sanitario è, secondo Johnson, quella di riunirsi periodicamente e raccontarsi in gruppo, in modo tale da accogliere e riconoscere reciprocamente quei segni di esaurimento emotivo, o di calo nella performance, che da soli può essere difficile intercettare. "Guardiamoci le spalle a vicenda" (Johnson, 2014).

Dott. Francesco Scalici

Dott.ssa Francesca Esposito | https://francescaesposito.org/ 


Bibliografia

Clay, R.A., 2018. American Psychological Association, APA. CE corner, vol 49, n°2.

Johnson, W.B., Barnett, J.E., Elman, N.S., Forrest, L., Schwartz-Mette, R., Kaslow, N.J., 2014. Preparing trainees for lifelong competence: Creating a communitarian training culture. Training and Education in Professional Psychology 8, 211–220.

Maslach, C., Jackson, S.E., Leiter, M.P., 2016. Maslach Burnout Inventory Manual (Fourth Edition). Menlo Park, CA: Mind Garden, Inc.

Maslach, C., Leiter, M.P., 2016. Understanding the burnout experience: recent research and its implications for psychiatry. World Psychiatry 15, 103-111.

Postato Martedì 19 maggio 2020